12.2.09

Che Pacchia la sanità italiana



Photos: 11.II.2009- Cantello, Italy

"Chi vive all'estero cammina su un filo teso in alto nel vuoto senza la rete di protezione offerta dalla propria terra dove ci sono la famiglia, i colleghi, gli amici, dove ci si può facilmente far capire nella lingua che si conosce dall'infanzia."

Milan Kundera- L'insostenibile leggerezza del'essere


Carissimi,

Vi scrivo ormai non più dal letto ma da una scrivania, compressa da quattro barre metalliche che mi fasciano il busto e che ogni tanto tirano un po'- certo che noi donne le abbiamo proprio tutte, soprattutto considerando la parte superiore del busto di noi donne e l'incidenza di un reggiseno o meno sul portamento del marchingegno raddrizzaschiena.
Ma non posso lamentarmi, perchè in fondo posso sempre stare seduta e camminare e tentare il più velocemente possibile di ritornare alla vita di sempre.
E qui nascono un sacco di domande a cui rispondere è difficile o perlomeno controverso.
Dopo due mesi passati in Italia, cullata dalle amorevoli cure familiari e degli amici (e colgo l'occasione per ringraziare tutti di cuore!) il pensiero di rientrare in Olanda tra una settimana esatta mi rende allo stesso tempo euforica e spaventa.
Dopo due mesi di adorata Italia, nonostante le condizioni fisiche (e per adorata Italia si intendeno qui di seguito le persone con cui sono in contatto e non lo Stato in sé, che sempre più merita una esse minuscola, pieno di strumentalizzazioni e sciacallaggi; pace all'anima della povera Eluana e conforto ai suoi genitori), un piccolo timore che questo mondo quasi fatato in cui ho vissuto fin ad oggi, esploderà come una bolla di sapone. Così sarà, mio malgrado.
Ma la parte razionale di me stessa comprende che sia giusto così, che tutto l'affetto ricevuto è stato reale e sentito,che quella di molti non è stata solo compassione, ma la riprova che nonostante i vari traslochi effettuati in questi ultimi cinque anni, a sentire il buon Pavese, qualcosa rimane sempre nella madrepatria e sta lì ad aspettarti per ricordarti che una parte di te è e sempre sarà presente.

Eccomi in tutta la mia forza e debolezza fisica e spirituale, ma eccomi.
Come promesso la pubblicazione della scabrosa vicenda ospedaliera (senza nulla togliere a tanti bravi medici italiani, ma con la speranza che le nuove leve non imparino da certe vecchie conoscenze ospedaliere che fanno pietà) di mercoledì 4 febbraio 2009 ore 9.30 presso l'ospedale di Varese, in ortopedia:

I soccorritori della SOS Malnate (a cui va un particolare ringraziamento per le attenzioni prestatemi, Grazie!) mi spingono in barella dentro alla sala visite 2 alla cui scrivania siede un dottore intento a leggere un libro non ben definito (forse un'enciclopedia medica dalle fattezze).
Passano alcuni minuti, la mamma al mio fianco, i soccorritori escono dalla porta lasciandola socchiusa.
Nel silenzio tombale che regna giro gli occhi verso quello che dovrebbe guardare le mie lastre e dirmi qualcosa del tipo: Bene! Nettamente migliorata! o Mi spiace, sarà ancora lunga.
Io che mi ero immaginata per un mese come sarebbe stato qul bellissimo e un po' angosciante incontro, mi ritrovo invece su una barella a fantasticare tutta sola sul perchè le maniche del camice del nostro dottore siano arricciate e decisamente troppo corte per le sue braccia.

Finalmente il misterioso libro viene chiuso e senza nemmeno alzare gli occhi inizia l'interrogatorio:

dottore: Come mai qui, così giovane?
Io: Beh, sono caduta da cavallo... ( e già nella mia mente il dubbio si insinuava- in ortopedia arriva solo la terza età?)
dottore: ha dolori?
Io: no
dottore: ha urinato in questo mese?
Io: si (d'accordo, sarà anche una domanda di prassi, ma dopo un mese a casa, spero bene, altrimenti sarei già stata in ospedale da un pezzo)
dottore: ha defecato?
Io: si... (vedi sopra)
dottore (si alza, SEMPRE CON LO SGUARDO AL PAVIMENTO),guarda le lastre: va bene.
Io:mmm
dottore (si avvicina sempre con lo sguardo al pavimento e intravedo due occhi di un grigio molto bello solo perchè sono distesa): alzi le gambe per favore.
Io: (le alzo piegandole)
dottore (stizzito): tese!
Io: ah, mi scusi,ma come faccio ad alzarle tutte e due insieme? Non ci riesco!
dottore (stizzito): una alla volta!
Io (alzo prima la sinistra poi la destra)
dottore (mi da due colpetti con il martello sulle ginocchia che reagiscono e ritorna in silenzio alla scrivania sempre con lo sguardo verso il basso)
Io (inizio a guardare mia mamma facendo delle facce scocciate e pensando che sono sempre dentro ai premi porca di quella miseria)

Silenzio, silenzio, silenzio. Io mi ero preparata da un mese una lista di domande infinite da fare quel giorno: da come fare la doccia, a come vestirmi, alla possibilità o meno di dormire a pancia in giù, quando finalmente, quando tutto sembrava perduto, la mia mamma (grazie, sei unica!) con una flebile ma allo stesso tempo voce sicura interviene.

Mamma: Allora... per quanto deve tenerlo il busto?
dottore (molto stizzito): beh, due mesi, per quanto dovrebbe tenerlo?!
Io (capito il gioco da farsi, perchè No, non esiste che tu rispondi a questo modo a mia mamma e che tratti me così che sono stata per un mese a letto, accudita solamente dai miei familiari che si sono fatti in cento per starmi dietro e la sanità italiana ci ha passato solo l'antidolorifico e la fraxi eparina, inizio con le domande): Senta, vorrei sapere se e quando posso partire, sa io studio in Olanda...
dottore: Beh, se non partono i giovani!
Io (perplessa): si, ma... quando posso partire?
dottore: beh... quindici giorni.
Io: ah...
Mamma: per lavarla, come può fare?
dottore (acido che avrebbe potuto corrodere la scrivania su cui era adagiato): beh, può fare la doccia no? La lascia due mesi senza lavarsi?
Io (la sfilza dei vaffa iniziava a comporsi linearmente nella mia testa e incalzo): guardi, un' ULTIMA domanda: posso portare uno zaino con un peso leggero... non so, 2-3 kg?
dottore (incredibilmente alza gli occhi). beh, sì... ma non può portarlo in mano?!?!
Io: beh, sa, io vivo in Olanda e mi devo spostare co i mezzi se posso lo porterei nello zaino, altrimenti troverò un'altra soluzione... (di certo lo zaino non me lo porto in mano, penso fra me e me)
dottore: potete andare
Mamma e Io: ma il busto? Non lo mettete voi?
dottore:no no, quella è una cosa che dovete fare a casa.
Mamma: veramente ho chiamato e mi è stato detto di portare il busto che avreste messo voi...
dottore (irascibile esce e va a chiamare un'infermiera)

L'infermiera mi mette il busto da sdraiata e mi dice: ecco, si mette così.
Io (ormai al culmine mi trattengo: ovvio che si mette così, mae l'aveva già mostrato il tecnico... forse intendevamo che il dottorone mi aiutasse a mettermi in piedi): ah..beh...
dottore: ci vediamo fra due mesi
Io e mamma (si, si....)

Mamma furiosa, io che se mi fossi potuta alzare l'avrei addentato, usciamo e come insegna la mamma, ammazzandolo di cortesia lo salutiamo e ricaricatami in ambulanza da sdraiata ovviamente torniamo a casa, dove co l'aiuto di mamma e dei validi soccorritori SOS, mi mettono in piedi e meraviglia delle meraviglie: IL BUSTO E' TROPPO LARGO.

il povero tecnico ortopedico (Grazie signor Bruno!) deve ritornare a casa e lavorarci un'altra ora per sistemarlo.

Io dico: ma se non mi fossa accorta che qualcosa non andava, se non avessi una mamma fisioterapista e tenace come la ho, se fossi stata una di quelle donne anziane che non possono né vogliono mettere in discussione quello che dice un medico o un immigrato dalle competenze linguistiche ancora flebili, mi dite a quest'ora che schiena avrei?
Soprattutto: perchè ora mi ritrovo a dover pagare per una visita privata nonchè radiografie da un ortopedico di fiducia per poter essere tranquilla, dopo aver comunque pagato i vari ticket e tasse varie?
E se uno non avesse i soldi?
Cosa ne sarebbe della schiena di quella povera persona?

Spero che questa vicenda possa far riflettere qualcuno, ancora una volta estremamente delusa da un sistema raccapricciante.

Perchè ne sono certa, caro dottor P., che appena fuori dall'ospedale è uno di quelli che mette il tappeto rosso fuori dal suo studio privato... ma effettivamente, non le ho allungato un bel centone quella mattina.

Elisa